21 Paesi dell’UE hanno già abbandonato l’utilizzo del carbone o progettano di farlo entro il 2030. Da questo dato parte il secondo rapporto del Joint Research Center che fa il punto sull’utilizzo di carbone, torba e olio di scisto nell’Unione Europea.
Nel 2018, in Europa c’erano 90 miniere di carbone operative in 11 Paesi con 159mila lavoratori occupati, contro 127 miniere e 174mila lavoratori occupati nel 2015. Nel 2018 sono state prodotte in Europa 442 mln di tonnellate di carbone e lignite: i principali produttori sono stati la Germania (169 mln di t), seguita dalla Polonia (122 mln di t), la Repubblica Ceca (44 mln di t) e la Grecia (37 mln di t).
Nel 2020, nell’Unione c’erano 166 centrali a carbone distribuite in 18 Paesi per una capacità complessiva di 112 GW e con 43mila lavoratori impiegati. Numeri in costante diminuzione negli anni: nel 2018 le centrali erano 179 per 130 GW di potenza distribuite in 19 Paesi, nel 2016 196 impianti per 132 GW in 20 Paesi. A utilizzare il carbone per la produzione di elettricità erano soprattutto la Germania (228mila GWh nel 2018, quasi la metà della produzione europea) e la Polonia (131mila GWh), seguite a grande distanza da Repubblica Ceca (41mila GWh) e Spagna (37mila GWh). Il carbone pesava sulla produzione totale di elettricità per il 77% in Polonia, per il 47% in Repubblica Ceca, il 40% in Bulgaria, il 36% in Germania e il 32% in Grecia.
Il carbone viene poi utilizzato nell’industria delle regioni carbonifere, soprattutto nella produzione di ferro e acciaio. Nel 2018, le acciaierie hanno consumato quasi 42 tonnellate equivalenti di carbone, seguite a distanza dalle industrie dei minerali non metallici (quasi 4 tonnellate equivalenti), dal settore chimico e petrolchimico (2,6 tonnellate equivalenti), dall’industria della produzione di carta e materiali non ferrosi.
E in Italia?
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