5 Maggio 2021

Clima, il diritto dei figli

Per una volta, il termine “epocale”, di cui si fa un indecoroso abuso, non suona eccessivo se accostato alla sentenza della Corte costituzionale tedesca del 24 marzo scorso. La pronuncia, radicalmente innovativa, salva la questione climatica dal rischio di perdersi nella retorica unanimistica e nella leziosità mondana: e la impone – grazie alla sua autorità di più alta giurisdizione – come assoluta priorità dell’agenda politica.

La Corte, infatti, ha dichiarato parzialmente incostituzionale la legge del 2019, che prevede una riduzione del 55% delle emissioni di CO2 entro il 2030: ciò risulterebbe insufficiente rispetto all’obiettivo, voluto dagli Accordi di Parigi (2015), della neutralità climatica per il 2050. Secondo la Corte la normativa ha l’effetto di scaricare sulle generazioni future gli impegni più onerosi per portare quasi a zero le emissioni di anidride carbonica, rendendo necessari tagli molto più gravosi nei vent’anni successivi al 2030. E quelle misure si tradurrebbero in un sacrificio eccessivo e sproporzionato dei diritti fondamentali dei cittadini dei prossimi decenni.

È una novità davvero rivoluzionaria (così l’hanno definita i media tedeschi). Prendiamo un toposletterario di gran successo – al quale, lo confesso, ho fatto ricorso anche io – come: “La Terra non ci è stata lasciata in eredità dai nostri padri, ma ci è stata data in prestito dai nostri figli”. Il Tribunale costituzionale tedesco fa suo quello che pare fosse in origine un motto dei nativi d’America, rielaborato da Alex Langer per un convegno dei primi Verdi italiani nel 1985: e lo incarna nella materialità dell’esperienza della vita sociale, facendo i conti, prendendo le misure, calcolando le percentuali. Traduce, cioè, quella antica saggezza in obiettivi e tempi, vincoli e obblighi. E in precise responsabilità per governi e assemblee rappresentative.

E, così, per la prima volta in Europa il principio della “responsabilità intergenerazionale” assume prescrittività giuridica, riconoscendo a quelle stesse nuove generazioni la titolarità di diritti esigibili già oggi. Dunque, la tutela del clima viene affermata come diritto fondamentale, e l’argomentazione è, anch’essa, innovativa: le drastiche riduzioni delle emissioni nocive, afferma la Corte, “riguardano potenzialmente qualsiasi libertà, dal momento che tutti gli aspetti della vita umana sono collegati al peggioramento del clima e quindi minacciano forti limitazioni dei diritti fondamentali dopo il 2030”.

È il rovesciamento radicale di tutte le declamazioni di ambientalismo abborracciato, udite negli ultimi mesi, in particolare, dopo l’istituzione del ministero della Transizione ecologica. In una sorta di euforia new age, l’ecologia sembra spuntar fuori in qualsiasi discorso pubblico, ma con il ruolo che ha il richiamo alla fame nel mondo quando si parla di ristoranti stellati: un ornamento, una paillette, una decorazione sbrilluccicante. E invece, dice la Corte costituzionale tedesca, e dice il pensiero ambientalista più accorto, l’ecologia è fondamento di qualunque idea di ben essere e di ben vivere.

L’ecologia è, deve essere, strettamente intrecciata a ogni progetto di economia capace di ribaltare i criteri meramente quantitativi e consumistici dei sistemi produttivi contemporanei; ed è correlata intimamente, appunto, a “tutti gli aspetti della vita umana”. Di conseguenza, l’ecologia non è un obiettivo da aggiungere a un tradizionale programma politico – cambia poco se in capo o alla fine di esso – bensì un punto di vista qualificante l’intera attività sociale: dall’organizzazione dei trasporti alla tutela del paesaggio, fino alla cura per la bellezza naturale e per quella realizzata dalle mani dell’uomo.

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