L’estate che è appena terminata la ricorderemo come una delle più calde mai vissute. A pagarne le spese soprattutto gli abitanti di Nord America, Europa, Africa settentrionale e Asia, che hanno sofferto condizioni climatiche insopportabili. A renderlo noto uno studio pubblicato su Nature Sustainability nel quale si evidenzia la necessità di un nuovo approccio alle strategie di protezione dal caldo a fronte del cambiamento climatico.
I ricercatori dell’Università di Oxford, dell’Università Ca’ Foscari Venezia, della Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici), di RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment e della London School of Hygiene & Tropical Medicine, hanno voluto portare l’attenzione su una nuova forma di povertà battezzata cooling poverty definendo anche il concetto di cooling poverty sistemica.
La cosiddetta “povertà da raffreddamento” diventa infatti sistemica quando si sviluppa in contesti in cui famiglie e individui sono esposti agli effetti dannosi del crescente stress da calore, principalmente a causa di infrastrutture inadeguate e risorse immateriali come la conoscenza, che permette di adattarsi intuitivamente agli effetti combinati di calore e umidità.
Lo studio identifica cinque dimensioni fondamentali che interagiscono tra loro, definendo insieme il concetto proposto di cooling poverty sistemica: Clima, Comfort termico di infrastrutture e beni, Disuguaglianza sociale e termica, Salute, Istruzione e standard lavorativi.
La prima autrice dello studio, Antonella Mazzone – ricercatrice affiliata all’Università di Oxford – sottolinea che “la definizione proposta si discosta dai concetti esistenti di povertà energetica e fuel poverty. La cooling poverty sistemica evidenzia il ruolo delle infrastrutture di raffreddamento passivo (utilizzando acqua, superfici verdi e bianche), dei materiali da costruzione per un’adeguata protezione termica esterna e interna e delle infrastrutture sociali. La sua portata sistemica considera anche lo stato dell’offerta di raffreddamento disponibile per il lavoro all’aperto, l’istruzione, la salute e la refrigerazione. In questo senso, lo spazio e il luogo giocano un ruolo chiave in questa concettualizzazione della povertà da raffreddamento. Va oltre l’energia e abbraccia un’analisi multidimensionale e multilivello di infrastrutture, spazi e corpi”.
Enrica De Cian, docente all’Università Ca’ Foscari Venezia e ricercatrice senior presso il CMCC, co-autrice dello studio, sottolinea come “il concetto ha molte importanti implicazioni politiche, in quanto evidenzia l’importanza di affrontare i rischi legati all’esposizione al calore con un coordinamento efficace tra diversi settori, come l’edilizia abitativa, la sanità, l’alimentazione e l’agricoltura, i trasporti”.
Questo nuovo indice può aiutare i governi a programmare in modo tempestivo ed etico gli interventi di raffreddamento più necessari, tenendo in considerazione i relativi compromessi.
“La prossima sfida sarà quella di rendere pienamente operativo il quadro proposto per il raffreddamento in diversi contesti e su diverse scale, ed è questa la direzione che desideriamo perseguire nel futuro lavoro di ricerca”, afferma Giacomo Falchetta, ricercatore di CMCC@Ca’Foscari che ha contribuito allo studio.