La Sardegna ha un enorme potenziale di fonti rinnovabili che potrebbe garantire il soddisfacimento del 100% della domanda elettrica entro il 2040 e la copertura dell’insieme dei consumi energetici entro il 2050. Una transizione che implica una rivisitazione innovativa non solo delle scelte energetiche, ma anche di quelle dei trasporti, dell’edilizia, dell’agricoltura e delle politiche industriali.
In quest’ottica, la scelta di procedere con la metanizzazione dell’isola, ribadita anche in un apposito capitolo della SEN 2017, non solo non è coerente con lo scenario di rapida decarbonizzazione necessario dopo l’Accordo sul clima di Parigi, ma implica investimenti che potrebbero diventare inutilizzabili.
Sarebbe dunque opportuno adottare una diversa strategia in grado di garantire significative ricadute occupazionali ed economiche, alternativa a scelte passate ad alto impatto ambientale. Un risultato ottenibile concentrando sull’isola le risorse necessarie all’introduzione di soluzioni innovative sui diversi fronti, dalle politiche avanzate di efficienza energetica al governo smart della domanda (Demand Response), dalla generazione rinnovabile alla gestione dei sistemi di accumulo (sia elettrici che termochimici), dalla mobilità elettrica alla chimica verde. Tale sviluppo non precluderebbe peraltro un uso mirato del gas, che potrebbe includere la produzione di biometano e lo stoccaggio del metano ottenuto per sintesi dalle rinnovabili per gestire le fluttuazioni della produzione solare ed eolica.
La Sardegna, caratterizzata dall’impiego inquinante del carbone nella generazione elettrica e dall’esportazione di un terzo della sua produzione, dovrebbe immaginare un ridimensionamento dell’attuale potenza termoelettrica abbinato ad un passaggio all’alimentazione puntuale a gas entro il 2025.
La Sardegna potrebbe diventare così un punto di riferimento della transizione energetica europea, proprio come l’arcipelago delle Hawaii (di dimensioni e popolazione analoga alla nostra isola) lo è per le Americhe: il cinquantesimo Stato degli Usa conta infatti di soddisfare il 100% della domanda elettrica con le rinnovabili entro il 2040, passando dall’attuale 25% al 52% già nei prossimi cinque anni.
È interessante peraltro sottolineare come queste isole del Pacifico intendano evitare l’uso del metano proprio perché la realizzazione delle infrastrutture potrebbe rallentare la transizione energetica, generando un effetto lock-in dal quale risulterebbe estremamente complicato uscire.
Per quanto riguarda la generazione da rinnovabili, in Sardegna si parte già da una quota elevata, pari al 46% della domanda. Peraltro, gli elettrodotti che collegano l’isola con la Corsica e con la penisola rappresentano un elemento, non disponibile nelle Hawaii, che faciliterebbe la gestione di un’elevata quota solare ed eolica. Del resto, anche il Piano Energetico dell’isola sottolinea la possibilità di sviluppare 11 distretti energetici a “energia quasi zero”.
Invece di spendere soldi per tecnologie sul carbone “pulito” che guardano al passato, andrebbero sperimentate soluzioni innovative, dall’eolico flottante off-shore al Power to Gas (combinazione della CO2con l’idrogeno ottenuto per elettrolisi da solare ed eolico al fine di ottenere metano da utilizzare come stoccaggio stagionale).
L’isola, che già ospita una bioraffineria di riferimento sulla scena internazionale, potrebbe inoltre diventare anche l’alfiere italiano della mobilità elettrica.
Alla luce delle opportunità offerte dalla rapidissima evoluzione tecnologica, crediamo in una Sardegna avanguardia della transizione energetica europea, in grado di attrarre i capitali necessari valorizzando risorse e competenze locali, in un percorso che la porterebbe a diventare un modello replicabile di “Smart Island”.
Parleremo di queste tematiche il 29 settembre a Cagliari durante il convegno “Sardinia: Smart, Storage & Solar”: tra i relatori avremo l’Ass. Piras, il Prof. Damiano di Sardegna Ricerche e l’Ing. Necci di Terna.