13 Luglio 2021

Italia Solare risponde agli articoli apparsi sul quotidiano “La Stampa” a firma di Salvatore Settis

Gentile Direttore de “La Stampa”,

è con sconcerto e disappunto che leggo gli articoli sulle energie rinnovabili a firma dell’archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis.

Leggendo il primo articolo dello scorso 1 luglio pensavo si trattasse di un parere, sebbene opinabile, dell’autore del testo e mi aspettavo che venisse poi controbilanciato da successivi interventi con posizioni differenti. Invece l’uscita del nuovo contributo a firma di Settis di venerdì 9 luglio fa pensare che si tratti di una posizione della Sua testata che, nel tempo, si era sempre distinta nel mantenere posizioni super partes, mentre oggi si sta evidentemente esponendo in modo deciso contro gli impianti a energia rinnovabile. Eppure, è ormai noto a tutti che le rinnovabili rappresentano la principale soluzione contro la crisi climatica, il più serio e complesso problema che l’umanità si sia mai trovata a dover affrontare e per la cui soluzione tutti i più autorevoli studi scientifici stabiliscono che si hanno a disposizione non più di 30 anni. Non a caso, le azioni di contrasto alla crisi climatica sono infatti in testa agli obiettivi dell’Europa.

Negli articoli l’archeologo parla dell’importanza di tutelare il paesaggio, ma è proprio questo paesaggio che si troverà a subire maggiormente gli effetti dei cambiamenti climatici se gli stessi non verranno adeguatamente contrastati: siccità e desertificazione, incendi e alluvioni, riduzione della produttività dei terreni, con costi umani e finanziari altissimi. Le anticipazioni del prossimo rapporto dell’IPCC parlano chiaro: se si conterrà l’aumento delle temperature di 2 gradi centigradi anziché 1,5°C, circa 420 milioni di persone in più sulla Terra dovranno affrontare ondate di caldo estremo e fino a 80 milioni di persone in più nel mondo soffriranno la fame.

In parallelo, questo accanimento contro solare ed eolico non fa che favorire chi ha interessi nel settore dei combustibili fossili, indiscutibile fonte di emissioni climalteranti: è evidente, e noi lo constatiamo tutti i giorni, che queste prese di posizione rallentano la transizione energetica.

Entrando nel merito degli articoli, l’autore fa credere al lettore che si voglia ricoprire il territorio italiano con pannelli fotovoltaici e aerogeneratori. Per fortuna, visti gli stringenti e diffusissimi vincoli paesaggistici e archeologici, il nostro territorio è in realtà già molto tutelato da un punto di vista paesaggistico. Nelle aree a terra non tutelate, e quindi non di pregio, è necessario valutare l’installazione di impianti fotovoltaici ed eolici. Prevedendo di utilizzare tutti gli spazi disponibili su tetti e coperture, e auspicando che a livello istituzionale si semplifichino e supportino queste applicazioni, non si può prescindere dagli impianti a terra, nel rispetto dei vincoli e delle limitazioni vigenti. Per raggiungere la carbon neutrality al 2050 entrambe le tipologie di installazione sono indispensabili.

In ogni caso è errato criticare senza riportare alcun dato. Con questo approccio, non scientifico, si alimentano solo paure e luoghi comuni e non si contribuisce in maniera oggettiva a trovare una valida soluzione alla necessità di diffusione delle fonti rinnovabili.

Per raggiungere gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato Energia Clima (PNIEC) attualmente approvato, che prevede al 2030 la realizzazione di circa 31 GW di impianti fotovoltaici, ipotizzando che il 30% delle installazioni si faccia sui tetti, i restanti impianti a terra richiederebbero circa 28 mila ettari. Ebbene, la superficie agricola totale italiana è pari a 16,6 milioni di ettari, di cui ben 4,2 milioni sono abbandonati e crescono al ritmo di 125mila ettari all’anno. 28 mila su 125 mila è il 22%, quindi circa un quinto dei terreni che la stessa agricoltura perde ogni anno, tra l’altro proprio anche per gli effetti dei cambiamenti climatici. 28 mila ettari rappresentano lo 0,67% delle aree non utilizzate e lo 0,17% delle aree coltivate. Visti questi numeri, è chiaro che lo spazio non è una questione rilevante.

In più, è utile sapere che il fotovoltaico non è alternativo all’attività agricola! È infatti possibile coltivare tra le file di moduli. Parliamo di agro-fotovoltaico, una pratica che sta sempre più prendendo piede a livello mondiale e che presenta molteplici vantaggi:

  • riduce il fabbisogno di acqua;
  • migliora la biodiversità (le autorizzazioni vietano l’uso di fertilizzanti o diserbanti);
  • contrasta lo spopolamento dalle aree rurali, specie da parte dei più giovani. Le aziende agricole hanno infatti la possibilità di proseguire la loro attività con maggiore forza economica e finanziaria, grazie ai ricavi aggiuntivi derivanti dalla presenza degli impianti fotovoltaici;
  • favorisce l’agricoltura sostenibile, riducendo o annullando l’uso di fertilizzanti e pesticidi, che implica notoriamente costi maggiori, con effetti positivi per l’ambiente e la salute di tutti noi.

Il fotovoltaico rappresenta una concreta opportunità per tornare a coltivare terreni abbandonati, ma anche per affiancare attività agricole esistenti, rafforzando le aziende agricole oggi spesso in difficoltà.

Certo, gli impianti fotovoltaici ed eolici si vedono, ma è fondamentale comprendere quanto gli stessi siano nostri alleati per evitare il disastro a cui stiamo rapidamente andando incontro, innescando nello stesso tempo dei meccanismi di condivisione del valore con i territori sui quali quegli stessi impianti operano e con le comunità che li accolgono.

D’altronde l’uomo ha storicamente modificato il paesaggio: la stessa agricoltura, sempre più estesa e intensiva, ha sostituito nei secoli milioni di ettari di boschi con campi coltivati, con filari di viti (che per molti mesi all’anno sono coperti da tendoni che provocano un notevole impatto visivo) e in molte aree d’Italia immense distese di serre. Senza contare gli oltre 4 milioni di ettari di terreni agricoli inutilizzati e spesso anche inutilizzabili proprio a causa di un’agricoltura che ha sempre più sacrificato la difesa del suolo e della biodiversità in nome del maggior profitto. Ma non si può fare a meno dell’agricoltura, anche se può e deve migliorare molto, specie in termini di impatto ambientale. Così pure non si può fare a meno dell’energia elettrica e per questo migliaia di km di tralicci sono diventati parte integrante del paesaggio. Allo stesso modo le centrali termoelettriche si sono diffuse su tutto il territorio, con buona pace di tutti, per garantire un livello di benessere per tutta la cittadinanza altrimenti impossibile.

Il ciclo dell’energia da fonte fossile comprende inoltre le raffinerie, ma anche i depositi di stoccaggio e le centrali di trattamento gas, oltre a piattaforme e aree di estrazione, per una superficie complessiva di diverse migliaia di ettari in tutta Italia. Superfici che però, chissà perché, non destano mai critiche. Da non dimenticare che queste aree industriali oltre all’impatto paesaggistico hanno anche inquinato causando centinaia di migliaia di morti. Il caro prezzo del benessere. Ora che con le rinnovabili possiamo finalmente cambiare strada, anche su questo importantissimo fronte, dispiace registrare campagne stampa miopi e scorrette.

Siamo in un momento storico che impone una reazione rapida ed efficace per limitare i danni dell’effetto serra.

Il fotovoltaico, oltre a essere la soluzione principe al cambiamento climatico, è anche una grandissima opportunità per condividere con le comunità locali che ospitano gli impianti il valore economico, sociale e ambientale generato.

È urgente e necessario fare informazione corretta e obiettiva sulle sole soluzioni efficaci, non temendo di promuovere impianti solari ed eolici.

Paolo Rocco Viscontini