23 Agosto 2020

Il clima innescherà migrazioni colossali

Un nuovo e approfondito studio sulle conseguenze del cambiamento climatico presenta scenari che si stanno già avverando, con futuri spostamenti di centinaia di milioni di persone.

Il giornale online ProPublica e il New York Times, con il sostegno dell’organizzazione Pulitzer Center, hanno lavorato con il geografo Bryan Jones a un ampio studio sulla cosiddetta “migrazione climatica”, cioè sulle persone che saranno costrette a lasciare la propria casa e la propria terra di origine per circostanze ambientali: non tanto quelle legate ai singoli eventi disastrosi, come un uragano, ma ai processi lenti e costanti già in atto come per esempio la desertificazione delle terre.

La ricerca – che riprende e amplia quella del 2018 fatta dalla Banca Mondiale e intitolata  “Groundswell – Preparing for internal climate migration” – si concentra soprattutto sulle conseguenze umane dei cambiamenti climatici: su come le persone si sposteranno all’interno dei loro paesi e dal loro paese a un altro. A partire dall’elaborazione di miliardi di dati, sono stati costruiti vari scenari basati soprattutto sulle risposte politiche che i paesi più ricchi e meno colpiti dal cambiamento climatico daranno ai cambiamenti climatici stessi e alle migrazioni che ne conseguiranno.

Cosa accadrà
Negli ultimi seimila anni, dice un importante studio pubblicato lo scorso maggio, il genere umano ha vissuto in zone della terra caratterizzate da un intervallo di temperature medie molto ristretto che sta tra gli 11 e i 15 gradi: in condizioni, dunque, che potevano permettere agricoltura, allevamento e sopravvivenza. Nei prossimi 50 anni, dice la ricerca, il clima cambierà più di quanto sia cambiato nei precedenti seimila anni: un terzo della popolazione si ritroverà a vivere in ambienti con una temperatura media attorno ai 29 gradi, quella che oggi si registra nello 0,8 per cento della superficie terrestre. Entro il 2070, dunque, le zone estremamente calde come il Sahara e che ora ricoprono meno dell’1 per cento della superficie terrestre potrebbero estendersi a quasi un quinto del territorio del pianeta.

Sui potenziali, probabili e certi effetti del cambiamento climatico sulla terra c’è un generalizzato consenso scientifico, e sono state fatte previsioni numeriche anche molto precise. Con l’aumento della temperatura, ampie fasce di territorio diventeranno più aride, e aumenteranno drasticamente le siccità estreme. Le frequenze e le intensità delle piogge cambieranno, con alcune zone che saranno più interessate di oggi (quelle monsoniche) e altre che lo saranno meno (quelle alle medie latitudini). Secondo le previsioni tutto questo, unito alla mutata composizione del suolo, causerà alluvioni devastanti.

Lo scioglimento dei ghiacci, inoltre, sta innalzando il livello delle acque del pianeta, che aumenterà, secondo le stime, tra gli 8 e i 13 centimetri entro il 2030, tra i 17 e i 20 centimetri entro il 2050, e tra i 35 e gli 82 entro il 2100, a seconda dei modelli matematici usati per le previsioni. Questo avrà conseguenze potenzialmente enormi per le persone che vivono vicino ai delta dei fiumi e in generale nelle zone costiere, soprattutto sulle isole più piccole. L’innalzamento del livello dei mari poi comporta una sempre maggiore salinizzazione del suolo, fenomeno che ha gravi conseguenze sull’agricoltura e che è naturalmente contrastato dalle piogge. Con i cambiamenti nelle precipitazioni e le siccità, però, questo ciclo è messo a rischio.

Fra le possibili conseguenze di tutto questo, i vari studi parlano di un cambiamento nella distribuzione geografica della popolazione, cioè migrazioni di massa, che si verificheranno comunque e nonostante le barriere psicologiche, sociali e politiche, poiché non esiste adattamento più naturale a un clima sfavorevole se non quello di migrare.

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